Tutti i cambiamenti mi spaventano. Ne fuggo. Li Rimando. A volte vorrei non avvenissero mai.
Così mi sposo e all’inizio mi prendo quello che oggi considero un lusso, non avere figli. Un cambiamento alla volta, mi dico. Non sono pronta, mi dico. Voglio concedermi di pensarci bene e di decidere se lo voglio davvero. Un figlio non è uno scherzo e nemmeno un passaggio obbligato. E mentre io mi trastullo in tutte queste profondità evanescenti, arriva l’esame di mio marito e piomba su di me, sbarra con violenza la mia strada verso il desiderio di maternità e diventa il punto zero, quello da cui tutto è cominciato o finito e ricominciato. E così proviamo, riproviamo, speriamo, ci illudiamo, soffriamo, litighiamo, ci allontaniamo. Scopro che un figlio lo volevo davvero e che ero solo un pò preoccupata, e scopro anche che forse non potrò mai averlo. Scopro entrambe le cose contemporaneamente dentro di me. Pazzesco. Niente di più lacerante e contraddittorio. Ma la mia vita è tutta una contraddizione. Mi professo scoraggiata, ma spero profondamente e fortemente ogni mese che il miracolo (di questo si tratterebbe) avvenga. E piango ad ogni falso ritardo. E piango ad ogni annuncio di gravidanza delle amiche, piango ad ogni battesimo e ad ogni regalino da comprare. E già perchè non sono proprio tutti così puliti e belli i sentimenti che questa disavventura ti porta a provare. E così la stima di te diminuisce sempre un pò di più. Non hai realizzato nulla, nel sul lavoro, nè sull’ambito personale. Non sei capace di condividere la gioia delle tue amiche che restano incinta con tutta la naturalezza possibile. Quella che anche tu avevi sognato e immaginato. Quella che capisci giorno dopo giorno che non avrai mai. E di questo devi elaborare il lutto.
Capisci che nessuno capisce. E questo fa male. Tutti sono pronti a minimizzare, a raccontarti la storia di quella gravidanza impossibile accaduta davvero, ma tu non ci credi alle favole, non ci crei più. Ti senti solo e ti isoli. E la vita di coppia è un’altalena, vacilla. A volte lo fai sentire così in colpa, che poi te ne vergogni. A volti senti che ti è rimasto solo lui.
Così ti apri alla pma, entri in questo mondo che è lontano un miglio dal tuo modo di essere, cerchi di convincerti che ce la farai ad affrontare tutte quell invasività, proprio come fanno altri.
Invece è pesante, avevi ragione. E’ qualcosa che ti scava al confine tra il fisico e l’emotivo, è qualcosa che ti cambia per sempre, è qualcosa che ti costringe a portare allo sbaraglio la tua intimità più profonda. Eppure lo fai. E c’è solo un embrione, un’unica possibilità congelata,in attesa dell’impianto. E che dire? Che leggere qui di chi ce l’ha fatta commuove e riscalda il cuore, che leggere di chi ha provato tantissime volte senza mollare ti fa vedere un altro modo di vivere la cosa che non sai se ti appartiene, ma la paura è davvero tanta e la forza a volte sembra venire meno completamente e la speranza è opportunamente seppellita da calcoli e percentuali, così per crearsi l’illusione di una protezione che forse non ci sarà mai.
Perchè una cosa ho capito, questa della maternità è una ricerca a carne viva e a cuore aperto, senza paracaduti nè protezioni.
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