Era il compleanno di Paola, non volevo fare tardi. Io adoravo le feste. Quel pomeriggio avevo saltato la pausa pranzo per finire presto di lavorare e alle venti in punto ero già in macchina con mio marito. L’appartamento di Paola era in pieno centro.
Almeno questa volta, pensai mentre varcavo l’androne del palazzo, siamo stati puntuali.
Il salone si spalancò davanti a noi con decine di festoni colorati. C’era odore di popcorn caramellati e, ai piedi di un grosso tavolo di cristallo, due bambine con le trecce erano sedute su un tappetone colorato tra palloncini gialli e rossi. Stavano litigando e tiravano i capelli a una bambola di plastica che sapeva mangiare, bere e persino sporcare i pannolini.
Sembrava più una festa per bambini che un party per i trent’anni.
Una morsa mi serrò lo stomaco. Mio marito se ne accorse e mi strinse più forte la mano.
Paola mi si avvicinò sfoggiando il suo nuovo completo prémaman.
Ti piace come ho sistemato? Ho pensato che sarebbe piaciuto ai marmocchi.
Poi scoppiò a ridere: Anno dopo anno ce ne sono sempre di più!
Io sentii il battito cardiaco accelerare e afferrai un drink. Mi sedetti rigida sul divano accanto a Cristina. Mio marito era già dall’altra parte della sala con il telefono in mano.
Mi guardai intorno mordendomi le labbra. Ero appena arrivata ma ora volevo solo scappare via, a gambe levate.
Sentii che stava per succedere di nuovo: quelle dannate lacrime già cominciavano a pizzicarmi gli occhi provocandomi un fastidioso formicolio. Sbattei le palpebre più volte mentre le orecchie cominciavano a ronzare. Le chiacchiere delle amiche divenivano via via evanescenti: ora erano suoni lontani e indistinti. Con gli occhi arrossati continuavo a sorseggiare il mio drink; non riuscivo a togliermi di dosso la sensazione di trovarmi nel posto sbagliato. Accavallai le gambe e cominciai fissare la parete color porpora con occhi vuoti: il volto era contratto in un sorriso che non mi accendeva lo sguardo.
Diedi un altro sorso all’aperitivo.
Poi provai ad arrestare il tremolio che mi incrinava la voce: Cosa diavolo c’è in me che non funziona?
Sentii le gote infiammarsi. Inspirai a fondo. Cercai di darmi un contegno, altrimenti avrei finito per rovesciare il drink sul divano ma non riuscivo a calmarmi.
Stasera nessuna grana al lavoro?
Cristina si girò di scatto, io mi zittii. Adele, la nostra amica, si era appena seduta accanto a noi con in braccio un bambino di circa dodici mesi che cercava in tutti i modi di tenere sveglio.
Io sorrisi nervosamente e infilai una mano nei capelli: No, stavolta non ci sono state emergenze…
Ma almeno quando ti obbligano ai lavori forzati te li pagano gli straordinari? Non dirmi che a trentadue anni sei ancora ferma a ottocento euro al mese e con soli quindici giorni di ferie l’anno?incalzò Adele.
Mi sentii stringere il petto così forte che per qualche secondo non riuscii a parlare. Poi risposi acida. Lei replicò senza staccarmi gli occhi di dosso.
Arricciò le labbra e scosse la testa. Poi sorrise sfiorandosi la pancia: Io invece adesso dovrò proprio chiedere il part time.
Accennò un gesto vago e indicò i nostri bicchieri.
Per almeno un po’ questi cocktail potrò concedermeli solo nei sogni! Mi state facendo venire una voglia…
Buttai giù una sorsata di Mojito fissando il Fruit Punch di Adele. Mi sentivo in bilico, con il pavimento che mi oscillava sotto i piedi. Adele era di nuovo incinta. E lo stava comunicando così, in quel momento, fingendo di desiderare anche lei un cocktail alcolico, proprio durante la festa di compleanno di Paola, in quella sala dove il pianto dei neonati e il vociare dei bambini si mescolavano alle chiacchiere e alle risate.
Adele aveva già cambiato espressione e, ora, aveva iniziato a tormentare le piccole guance del figlio: Si sta facendo tardi! Se si addormenta adesso, è la fine.
Sbuffò: Mi toccherà un’altra notte in bianco. Lo sapevo, l’avevo detto a Paola. Non dovevo venire!
E dai, esclamai, non sarà la fine del mondo!
Adele mi guardò con un sorriso di commiserazione. Poi mi puntò addosso i suoi occhi di ghiaccio che spuntavano tra le linee scure di una frangetta perfetta.
Se adesso dorme, salterà la pappa: quando arriveremo a casa piangerà per la fame e dopo cena il sonno sarà sparito.
Mi si sentii avvampare. Le parole mi uscirono di bocca come un sibilo stridulo.
E fagliela ora la pappa, prima che si addormenti!
Adele continuava a fissarmi con occhi vitrei: Ora è troppo presto, sta ancora digerendo il latte. Tu non puoi capire, troncò netto scuotendo leggermente la testa, perché non hai figli.
Vuotai il bicchiere e mi morsi le labbra, volevo impedire ai pensieri di prendere voce. Ma chi si credeva di essere? Pensava che il mondo dovesse fermarsi e inchinarsi a lei solo perché aveva generato un figlio? In quel salone, dove tante volte avevo preso parte a feste briose, mi sentii disancorata. Le tempie cominciarono a pulsarmi e, improvvisamente, mi mancò l’aria come se stessi annegando. Non avrei saputo dire se per via di tutti quei bambini che affollavano la stanza o per l’alcol con cui avevo tentato di placare il nervosismo crescente. Quello che sapevo era che non potevo trattenermi un solo secondo di più.
Al diavolo la festa! Non volevo più saperne di continuare a sorridere. Volevo solo tornare a casa…