Tre anni fa, quasi quattro, decidiamo. Ci proviamo? si, dai che poi non abbiamo più tempo, lo dice anche il medico.
Prima gravidanza, un’emozione fortissima, così presto, subito. Tanta paura, tanta fiducia, la vita cambia…dura un mese e mezzo, poi finisce. Ti crolla addosso il cielo, piangi sempre e senza preavviso, ma capita, succede. Diventi di casa al pronto soccorso. Scopri che è la storia di molte persone che conosci, ma che poi ne hanno avuti due, tre. Devi riprovare, veloce che il tempo corre. Il mondo sa che queste cose si risolvono…soprattutto quelli che non ci sono passati.
Seconda gravidanza. Panico. Ma c’è il battito, stia tranquilla che va tutto bene. Poi la corsa in pronto soccorso. Ci dispiace, riproverete, andrà bene. Ma intanto fate questi esami così ci portiamo avanti con gli accertamenti perchè vede…sono quasi quaranta, quindi…ma non perda la speranza.
Gli esami. Sarà questo? No. Sarà questo? No. Tutto normale, anzi, “lei ha un apparato da trentenne”. E allora cosa non funziona? Cosa ferma tutto?
Terza gravidanza. Questa volta non possiamo essere ancora così sfortunati. Prima visita: tutto fermo. Ancora. Di nuovo. Rabbia cieca, sconcerto, sfiducia, ma dobbiamo reagire, ancora, sempre insieme.
Il medico ci manda al reparto infertilità. Questa parola apre possibilità mai immaginate, ti fa sentire il tempo che passa inesorabile su di te e che potrebbe essere già troppo tardi. Ti senti grande di colpo. Ma ci proviamo.
Altri esami, colloqui, misurazioni. Sempre tutto nella norma, anzi, condizioni favorevoli.
Prima ICSI: le iniezioni, la speranza, lo sforzo di crederci nonostante la paura di un quarto aborto. Le gambe che tremano dopo il transfer perchè potrebbe davvero cambiare tutto, questa volta. Fallisce, non parte. Poteva capitare, in fondo è come in natura.
Seconda ICSI: “lei non ha ancora molto tempo, lei è troppo agitata, lei deve stare tranquilla, lei lavora troppo, lei non ci crede, lei deve provarci, lei è ancora giovane, lei è al limite, lei ce la farà, lei la prende nel modo giusto”. “Voi dovete lasciarmi stare. Non sono un pezzo di carne nè una cavia da esperimenti”. La stimolazione questa volta è molto più efficace, ma il corpo è sempre più stanco. Il prelievo è favorevole, ma il materiale si assottiglia nel giro di cinque giorni (da 15 a 1). La biologa dice “tentiamo comunque”. Mi parte una risata e una battuta proprio lì, in sala operatoria. Ci scherziamo su, tanto ormai, arrivati fin qui…
I giorni successivi al transfer sono indefinibili, per fortuna il lavoro distrae ma…il pensiero è sempre lì. Al decimo giorno parte lo spotting che si può confondere con le perdite da impianto. Allora forse, magari stavolta…Ma non si ferma, diventa ciclo. Anche questa volta niente.
E’ stato come fare una partita al gioco dell’oca: un continuo ritornare al via. La vita di coppia viene messa sotto pressione e molto spesso in pausa. Io stavo da sola, isolata nel mio mondo di libri, film, storie. Ho avuto bisogno di distrazioni impegnative, di stimoli continui fuori da me. Mio marito presente, vigile, in osservazione e pronto ad intervenire perchè il crollo emotivo è lì, prima o poi arriva.
Quello che mette pace per me è sapere di aver fatto tutto il possibile, nei limiti del mio corpo e della mia capacità di sopportare dolore e fallimento.
Il futuro è ricostruire, accettare quello che sarà e andare avanti. Insieme.
Una risposta
Grazie per la tua storia. È duro il percorso della Pma.. Io sono reduce dal primo fallimento di settimana scorsa. Bisogna rialzarsi essere positive e riprovarci. Al momento ho un grande vuoto dentro di me.. La tristezza fa il suo sopravvento ed è dura da mandare via. La tua ultima frase me la segno intanto ☺️