Piano piano veniamo fuori da questa pandemia e dal fermo che ha imposto alle nostre vite e ai nostri desideri…e ne veniamo fuori con nuove consapevolezze e rinnovate energie nel riprendere in mano il nostro percorso che giace da mesi nel forzato standby. È stato un periodo che, nonostante abbia portato difficoltà, alimentato angosce nell’attesa, ansie per le incognite non ancora del tutto risolte, mi ha messa a tu per tu con me stessa. Ci ho dovuto fare i conti.
Finora sono andata spedita con un razzo da un tentativo all’altro di icsi, tra medici, consulti, esami e indagini, senza fermarmi perché il tempo è il nemico numero uno per una come me che vorrebbe poter controllare anche quello e annullare tutti i “tempi morti” e le attese che mi separano dal mio desiderio. E se adesso quelle attese sono state imposte da cause di forza maggiore creando un “tempo morto” non tanto determinato e non ancora terminato ho dovuto fare i conti coi tempi morti dell’anima, quelli che forse avrei dovuto riconoscere, vivere e non ignorare. Ora l’ho fatto e sono grata a me stessa per questo; me lo dovevo perché non solo ovaie e utero e dintorni hanno bisogno di cura, ma anche la nostra anima ferita, avvilita, provata dai fallimenti accumulati in questi anni.
Ci sono ferite anche lì che ignorare è come non riconoscerci nel nostro essere non solo corpi in terapia ma anche umani in balia di sentimenti non sempre facili da gestire. Nel periodo che ha preceduto il lockdown vivevo già una fase down emotivamente parlando. Intorno a me se ne erano accorti gli affetti più intimi e cari che con estrema delicatezza hanno cercato di tirarmi fuori da quello strano e apatico sentire e procedere solo per inerzia ormai. Ho riconosciuto il valore delle loro parole perché mi ci rispecchiavo…anche io mi sentivo e vedevo dall’esterno come loro mi descrivevano.
Non sentivo più l’energia dell’inizio, la voglia e il desiderio di procedere, provare, andare avanti. Mi sentivo come sospesa a mezz’aria tra il voler trovare la strada per il sogno e la stanchezza che invece bloccava ogni spinta in avanti. Pensavo dovessi solo elaborare il mio ultimo lutto, pensavo dovessi solo riprendermi fisicamente, pensavo dovessi solo far passare del tempo e poi avrei ritrovato la mia grinta. Ma dove? Intanto i mesi passavano e niente, io sempre ferma in quel punto mi vedevo.
Aspettavo inerme che tutto si risolvesse per magia come quando si aspetta che passi quel momentino di malumore passeggero. Ho fatto poi qualcosa che in me covava da un po’: mi sono affidata ad una terapeuta alla quale ho chiesto una mano che mi accompagnasse in questo momento di passaggio così delicato. E piano piano sono rinata io…mi sono guardata dentro e mi sono vista in tutto quel che sono ora.
La pma mi ha cambiata tanto, ora lo riconosco. E la carambola infinita tra medici e tentativi mi aveva semplicemente vitrificata, aveva congelato emozioni e paure costringendole entro limiti che mi sono imposta da sola senza nemmeno accorgermene perché non c’era tempo per pensarci. Ho vissuto sempre in corsa da una icsi all’altra, dando priorità a quanto andava fatto per realizzare il sogno, dimenticando spesso quanto imprescindibile sia l’attenzione anche al sentire dentro questo sogno e ciò che sollecita.
Mi sono negata per troppo tempo la possibilità di essere umana anche io cercando di tenere a bada tutte quelle emozioni che mi avrebbero potuto fuorviare o distogliere dal percorso semplicemente congelandole. E nell’agire così ho perso forza, grinta, coraggio. Ora che ho cura anche del mio più intimo sentire, sento che il mio corpo inizia a fare spazio per la vita. Dalla vitrificazione la mia anima torna alla vita e io torno a sentire la voglia perduta di rimettermi in cammino. Non più di corsa, ma nel rispetto per me stessa e i miei tempi interni. Con la speranza forte di sopravvivere al mio scongelamento. Ora posso guardare in avanti e avanti a me vedo le mie blastocisti, i nostri princìpi di sogno.