Intraprendere un percorso di procreazione medicalmente assistita mette in gioco tante emozioni, in entrambi gli aspiranti genitori. La donna, in particolare, deve fare i conti con pressioni sociali, pregiudizi sulla fertilità e con l’idea di sé. I consigli della psicoterapeuta
Riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come una vera e propria patologia, l’infertilità in Italia riguarda circa il 15-20% delle coppie. Molte di queste coppie, tra i 65mila e i 78mila ogni anno in Italia, ricorrono a tecniche di fecondazione assistita. Un percorso lungo, impegnativo dal punto di vista fisico e psicologico. «Soprattutto, un percorso senza garanzie di successo». Lo spiega Beatrice Corsale, psicologa e psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia cognitivo comportamentale e autrice del libro di autoaiuto Invidia del pancione (Erickson). «È questo il punto fondamentale che ogni coppia dovrebbe accettare prima di intraprendere questa strada». Spesso non è così e la ricerca di un figlio assume la forme di un pensiero ossessivo. L’esperta ci guida attraverso i momenti centrali del percorso di Pma e i disagi psicologici a cui, facilmente, si può andare incontro.
Infertilità in Italia e ricorso alla Pma
In un Paese afflitto da una denatalità record (lo scorso anno per la prima volta si è scesi sotto le 400.000 nascite), i bambini concepiti grazie alla Pma erano in continua crescita fino al 2019, pari al 3% di tutti i nuovi nati (circa 14.000). Per effetto della pandemia, in base all’ultima Relazione del Ministro della salute al Parlamento sul tema, si è osservata una diminuzione delle coppie trattate (da oltre 78.000 a 65.000) e dei bambini nati vivi sono passati (da oltre 14.00 a 11.418 delle 395.072 “schede parto” pervenute nel 2021, -20%). Quindi 2,9 gravidanze in cui è stata utilizzata una tecnica di PMA ogni 100 gravidanze. In attesa di nuovi dati, la Pma rimane una soluzione per molte coppie.