Oltre le storie: l’intervista a Erika Zerbini

Lo spazio di oggi della rubrica #oltrelestorie è dedicato a Erika Zerbini, autrice del romanzo “Nato vivo” (PM edizioni) e del blog Professione Mamma

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Ciao Erika. Il tuo romanzo “Nato Vivo” è il racconto di una mamma coraggiosa che subisce il duro colpo di due maternità interrotte. Una storia di amore e di vita, la tua storia. Hai scelto di raccontarla all’interno di un libro. Perché?

Quando le parole “Mi dispiace, non c’è battito”, hanno fatto ingresso nella nostra vita, ho scoperto un mondo davvero sconosciuto. Allora ero alla mia terza maternità, eppure non ne sapevo nulla. Il mondo nuovo in cui ci siamo trovati era in piena contraddizione con quel che emergeva là dove di maternità interrotta non si aveva esperienza. Erroneamente si pensa che un figlio morto durante la gravidanza non sia davvero un figlio, piuttosto sia un progetto non del tutto realizzato, un’ideale a cui non si è pienamente giunti, un’aspettativa disattesa. “Va bè, ne farete un altro…”, è un’affermazione che torna di sovente. Essa offre proprio il metro di quanto non si comprenda la valenza di questa esperienza. I figli non sono sostituibili. I figli morti durante l’attesa erano figli con un loro specifico patrimonio genetico, erano mani e gambe che si muovevano e poi non più. Erano molto più di un’idea o un progetto. Erano figli. La morte in gravidanza ci ha resi consapevoli di quanto sia al di fuori dal nostro controllo il fatto di generare la vita, oppure la morte. Realizzare che ogni gravidanza può potenzialmente finire in una morte, realizzare che essere genitori non significa affatto essere i depositari della vita dei nostri figli, ha mutato profondamente il nostro modo di approcciare verso la vita, verso i figli che avevamo già e verso i figli che avremmo voluto. Se si ha una scarsa attenzione verso il dolore che segue la morte di un figlio in epoca pre e perinatale, si ignorano completamente gli effetti che essa produce sulle gravidanze seguenti. Il mio obiettivo era quello di offrire la mia esperienza affinché potesse contribuire a riempire il profondo vuoto di cultura e consapevolezza che esiste intorno alla maternità interrotta.

Il 15 ottobre ricorre la Giornata Mondiale del lutto perinatale. La perdita di un bambino durante la gravidanza e nei primissimi mesi di vita èun evento dal forte impatto emotivo, di cui ancora si stenta a parlare.Secondo te, perché il tema è ancora così poco dibattuto? 

Nella nostra cultura c’è grandissima difficoltà ad affrontare il tema dellamorte. La morte è considerata un vero e proprio fallimento. E’ un tradimento delle aspettative, è un’ingiustizia, è un evento addirittura considerato innaturale, se avviene in un’epoca di vita nella quale le previsioni sarebbero di vedere il proseguire dell’esistenza per molto tempo ancora. Morire invece è molto naturale, fa proprio parte del vivere: è il suo ultimo atto.Da quando la scienza medica ha saputo trovare strategie per allungare la vita e quasi azzerare la mortalità infantile, si è maturata l’errata percezione che si possa vantare potere sulla morte, dunque il morire è l’evidenza di non essere abili nell’esercitarlo in modo proficuo. Quindi morire è una vergogna. Essere i genitori di un figlio morto è perfino più che una vergogna: è l’evidenza di non essere in grado di assolvere il compito per cui si è stati programmati. Ancora nella nostra società è molto radicata la convinzione che una donna sia una vera donna quando diventa madre. Così come si sia davvero una famiglia solo se dotati di figli. In definitiva, le ragioni che portano a mantenere nel silenzio questo argomento sono tante e complesse. Le principali penso abbiano a che fare con la difficoltà ad affrontare il tema della morte. Quindi con l’errata percezione di quali siano gli aspetti attraverso cui donne, uomini e nuclei familiari assumono valore. Infine con l’ostacolo posto dall’idea che solo un figlio nato vivo abbia i requisiti necessari per essere considerato un figlio vero. C’è davvero moltissimo su cui lavorare.

Di quale tipo di supporto necessita una coppia che ha appena affrontato un lutto perinatale?

Quando mi pongono questa domanda, la mia mente va immediatamente ad uno scritto di Isabella Robbiani, Psicologa e Aptoterapeuta perinatale. Isabella esprime perfettamente e pienamente quel che avrei voluto trovare già in ospedale, senza doverlo cercare al di fuori. Nelle sue parole c’è accoglienza, rispetto, dolcezza, calore, legittimazione, partecipazione, fiducia… per quanto sia difficile e doloroso affrontare la penosa situazione in cui versa la famiglia  in lutto, non si sottrae e ha la premura di non lasciare nulla in sospeso, offrendo altresì il tempo per la riflessione, la presa di coscienza. Non saprei esprimere meglio quel che per me è sentirsi davvero supportati in questo frangente, perciò vi lascio le sue parole che troverete seguendo il link.

Quali parole vorresti rivolgere alle nostre lettrici e ai nostri lettori che stanno incontrando o hanno incontrato difficoltà nell’avere un bambino?

Direi loro che la loro difficoltà è comune a molti e questo esprime quanto non sia affatto una rarità di cui vergognarsi, piuttosto un’opzione fra quelle possibili in natura. Una delle opzioni più difficili con cui confrontarsi: essa richiede grande coraggio, ma anche fiducia e speranza. A volte la nostra vita non prende la piega che avremmo voluto ed è proprio in quel frangente che è possibile dare spazio alle parti più nascoste di noi, cercare in noi le risorse per inventarci differenti e infine scoprire di essere perfino chi non avremmo mai creduto. Le prove difficili della vita hanno il potere di trasformarci, come diventeremo dipende da noi: la nostra vita resta nelle nostre mani, sempre.

 

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