L’infertilità maschile è un problema in crescita a livello globale: circa il 15-20% delle coppie ha difficoltà a concepire dopo 12 mesi di rapporti sessuali non protetti.
Nel 29% dei casi la causa è esclusivamente maschile, con una marcata riduzione della qualità e della quantità degli spermatozoi registrata negli ultimi decenni.
«Studi recenti segnalano, infatti, una diminuzione della qualità e della quantità degli spermatozoi fino al 50% rispetto agli anni settanta, suggerendo come l’infertilità maschile stia diventando un problema di salute pubblica. Nei casi più seri, come l’azoospermia, si verifica una totale assenza di spermatozoi», spiega Luigi Fontana, direttore del Centro di Longevità e Salute dell’Università di Sydney e uno dei massimi esperti mondiali su nutrizione e longevità.
Negli ultimi anni l’interesse della ricerca sulla fertilità è cresciuto, specialmente in relazione all’impatto della dieta sulla fertilità maschile e, in particolare, sulla qualità del liquido seminale.
L’infertilità maschile può essere suddivisa in tre categorie principali. «La prima è quella con cause pre-testicolari», precisa Fontana. «Si tratta di problemi ormonali a livello cerebrale (ipotalamo e ipofisi) che compromettono la produzione di spermatozoi. La seconda è quella delle cause testicolari, condizioni genetiche o cromosomiche, infezioni genitali, criptorchidismo e varicocele. Infine, ci sono le cause post-testicolari, ostruzioni delle vie seminali che impediscono il passaggio degli spermatozoi. Altri fattori di rischio includono infezioni sessualmente trasmissibili, traumi testicolari, esposizione a tossine ambientali come pesticidi e solventi e uso di farmaci antitumorali. Per questo motivo la prevenzione andrologica dovrebbe iniziare in età giovanile, promuovendo consapevolezza, ma soprattutto sane abitudini alimentari e corretti stili di vita per migliorare il benessere e la fertilità futura».