Per anni tutte le strade hanno avuto il nome di mio figlio. Toōkyo, che nomi di strade non ne ha, accoglieva placida il mio desiderio e mi lasciava giocare. Era tuttavia un nome sbagliato, di pura invenzione. Di città in città quel figlio che non arrivava acquistava un nuovo nome.
A Ravenna lo chiamavamo “Teodoro”, in omaggio al re degli Ostrogoti, a Hakodate “Toshizo”, come l’eroe della resistenza Meiji. Ci divertivamo da matti a immaginare di concepirlo in un posto diverso del mondo, a onorarlo estraendone un suono e a portarcelo dietro per tutta la vita, per riconoscenza. Di luogo in luogo, in piccoli viaggi che ci allontanavano un poco dall’ossessione maturata per una felicità sempre rimandata, costantemente in là da venire, ci promettevamo che sarebbe accaduto la prossima volta, al massimo quella dopo ancora.