In una coppia su quattro fra quelle che chiedono di ricorrere a una procedura di fecondazione assistita, il maschio ha eluso le visite e le verifiche necessarie. E in circa la metà dei casi, il responsabile del mancato concepimento è lui.
Quando un figlio non arriva, il primo pensiero corre alla donna: il retaggio culturale che attribuisce solo alla madre la responsabilità della procreazione è duro a morire. Così tuttora il primo (e spesso unico) medico interpellato è il ginecologo, mentre il partner maschile resta ancora, troppo spesso, in secondo piano. Invece può incidere non poco sul progetto di diventare genitori se solo se ne valutasse la fertilità. Stando ai dati presentati dalla Società Italiana di Andrologia (Sia), durante l’ultimo congresso nazionale, tra le coppie che ricorrono a una procedura di procreazione medicalmente assistita (Pma) almeno una su quattro “salta” l’andrologo, cui si aggiunge il 25 per cento delle coppie che hanno qualche difficoltà ma non si rivolgono a uno dei 369 Centri di medicina della riproduzione autorizzati in Italia.