Preservare la fertilità in età giovanile per aumentare le chance di avere un figlio anche a 40 anni o dopo una malattia. Oggi è possibile grazie al congelamento degli ovociti. Ecco di cosa si tratta e perché consente alle donne di posticipare la maternità, fino al «momento giusto»
Giovani donne impegnate nel percorso di studi, che cercano lavoro o stanno muovendo i primi passi nella professione, che ancora non hanno incontrato «la persona giusta». Donne che viaggiano, si confrontano e conoscono le opportunità che il progresso della scienza mette loro a disposizione. Donne che, per necessità o per scelta, posticipano l’età della prima gravidanza e che oggi possono scegliere di preservare la fertilità attraverso la crioconservazione degli ovociti, la tecnica – conosciuta anche come egg freezing – che permette di congelare a -196° i propri gameti per utilizzarli successivamente, quando ci sarà un momento più opportuno per iniziare una gravidanza. È già diffusa negli Stati Uniti e in altri Paesi europei, ma in Italia sono ancora poche le ragazze che optano per questa soluzione. «L’informazione è scarsa, c’è timore, eppure da noi l’esigenza di preservare esiste eccome, considerato che siamo il Paese europeo che conta più prime gravidanze dopo i 40 anni», spiega la ginecologa Daniela Galliano, direttrice della Clinica specializzata in Medicina della Riproduzione IVIdi Roma, e autrice del libro Quanto ti vorrei – Come la scienza medica ti aiuta ad avere un figlio (Edizioni Piemme). «Il punto è che mentre la società è cambiata, la biologia non può modificarsi: dopo i 35 anni la riserva ovarica diminuisce. E la fertilità inevitabilmente si dimezza».
In che modo il congelamento degli ovociti può aiutare, in questo senso?
«Permette di prelevare i propri gameti in un’età ottimale, cioè tra i 20 e i 35 anni, e conservarli in idrogeno liquido, mantenendo intatte tutte le proprietà fino al momento dello scongelamento. Tutto ciò in previsione di una gravidanza che si potrebbe cercare anche dopo i 40 anni per i più svariati motivi, compresa la necessità di dover affrontare delle cure per patologie ginecologiche specifiche o per un tumore».
Questa tecnica è quindi suggerita anche alle pazienti oncologiche?
«Sì, sempre più di frequente. Chemioterapia e radioterapia sono tossiche per le ovaie: se non si preservano gli ovociti, si curerà il tumore ma con ogni probabilità si rimarrà sterili. Per questo da noi, in clinica, arrivano giovani pazienti, indirizzate dall’oncologo, le cui ovaie vengono stimolate con protocolli ad hoc, affinché in una decina di giorni si possa completare sia il prelievo che il congelamento, consentendo loro di iniziare le cure».
In quali altri casi è consigliabile?
«In presenza di endometriosi di terzo o quarto stadio o anche endometriosi di primo stadio, se la paziente deve sottoporsi a un intervento di laparoscopia per la rimozione di cisti endometriosiche, che ridurrebbero il tessuto sano ovarico. E poi, nel caso di insufficienza ovarica in giovane età».
In generale, qual è l’iter da seguire e come si effettua il prelievo?
«Il primo passo è prenotare una visita con uno specialista in fertilità: richiederà una serie di analisi, sulla base delle quali si decide il trattamento da seguire. Si parte poi dal ciclo mestruale, momento in cui comincia la stimolazione ovarica attraverso la somministrazione di ormoni. Con specifiche ecografie si verifica l’aumento di dimensione dei follicoli e quando gli ovociti raggiungono numero e dimensione desiderati, si induce l’ovulazione, programmando il prelievo, che avviene 36 ore dopo. L’aspirazione degli ovociti si esegue in sala operatoria sotto sedazione profonda e dura circa 15 minuti. Subito dopo si procede con il congelamento».
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