Dal gennaio 1983 a oggi le tecniche di procreazione assistita hanno fatto passi da gigante: nel 2020 sono state utilizzate per poco meno del 3% di tutte le nascite nel nostro Paese
All’inizio li chiamavano bimbi in provetta, definizione forse non troppo rispettosa ma che dava l’idea di qualche strana diavoleria moderna. E in effetti un po’ lo era, perché la scienza medica si stava impadronendo di una delle facoltà da sempre considerate inaccessibili all’attività umana, prerogativa esclusiva del Divino, o del principio creatore della Natura: la procreazione. Sembra ieri, ma la prima “bimba in provetta” italiana ha ormai 40 anni: è nata infatti l’11 gennaio del 1983, a Napoli. Si chiama Alessandra Abbisogno, è un’insegnante di matematica e scienze oltre che una biologa nutrizionista.
A differenza di quel che succede in altri campi, l’Italia non approdava a quella conquista molto più tardi dei pionieri: la prima creatura venuta al mondo con la fecondazione in vitro era stata infatti, meno di cinque anni prima, l’inglese Louise Brown. Fu grande, nel 1983, il clamore suscitato dalla novità nel nostro Paese: con le immancabili polemiche da parte di chi riteneva che il genere umano si stesse avventurando in terreni da lasciare appunto alla divinità. Oppure i timori di chi sospettava che nascere grazie alla nuova tecnica potesse rendere gli individui più deboli degli altri.