Infertilità e psicologia

“…Non posso concepire, nè partorire un bambino; sono infertile.

L’infertilità è una folata di vento che spazza via la mia autostima, una violazione della mia privacy; un asolta alla mia sessualità, un esame finale sulla capacità di superare gli ostacoli, un affronto al mio senso di giustizia, un doloroso ricordo che nulla può essere dato per scontato.

L’infertilità è una rottura nella continuità della vita. E’ sopratutto, una ferita al mio corpo, alla mia anima, alla mia psiche. 
Il dolore è intenso…”
(Jorgensen, 1082)

Questa definizione dell’infertilità riassume il significato e l’impatto che questa condizione ha nella vita delle donne e degli uomini che si trovano a confrontarsi con la difficoltà ad avere figli.

In Italia 2 coppie su 10 hanno problemi di fertilità e di queste il 4% è sterile. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), definisce sterilità la situazione di una coppia in cui uno o entrambi i membri sono affetti da una condizione fisica permanente che non rende possibile il concepimento.
Si parla invece, di infertilità quando una coppia, per cause relative all’uomo o alla donna, non riesce ad ottenere una gravidanza dopo un anno di rapporti costanti e non protetti.

Il termine infertilità, si riferisce ad una situazione potenzialmente risolvibile e legata ad uno o più fattori interferenti. L’infertilità viene quindi considerata una patologia e come tale può essere sottoposta a cura.
L’infertilità rappresenta oggi un problema sempre più diffuso con importanti costi sociali, emotivi ed economici la punto da essere considerato uno degli eventi più stressanti nella vita di una persona (Thorn et al, 2009)

Come tutti gli eventi stressanti la diagnosi di infertilità rappresenta un momento di rottura nel piano esistenziale in cui emergono le fragilità e le risorse psichiche ed emotive degli individui e delle coppie. Nel 2004 all’interno delle linee guida dell’ESHRE (euopean society of human reproduction and embriology) è stato stabilito che i pazienti infertili vengano seguiti anche da un punto di vista psicologico, proprio perchè gli studi scientifici hanno evidenziato la necessità di seguire il paziente a 360° quindi non solo da un punto di vista medico, ma anche psicologico.

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