Ci sono donne che sperano di diventare madri, donne che provano a rimanere incinte senza riuscirci. Sono sempre esistite, ma oggi sembrano di più, forse sono di più, o forse sono semplicemente più libere di parlarne.
Fino a pochi anni fa, l’infertilità era un tabù. Le donne che non riuscivano ad avere figli erano considerate o si sentivano donne a metà, come se la realizzazione femminile dipendesse dalla gravidanza. Colpa di una cultura, di una società, di una educazione che considerava la maternità un dovere.
Oggi le donne che non riescono ad avere figli sanno di non essere sole, di non avere un difetto di fabbrica, di non essere per questo meno donne. Eppure questi sentimenti ancora aleggiano negli animi di molte. E, sebbene l’infertilità sia un tema sdoganato, i sentimenti che le accompagnano quotidianamente rimangono celati, per paura di sentirsi egoiste, fragili, invidiose.
La maternità pensata è una condizione sospesa tra un passato di illusioni e un futuro di speranza. È fatta di introspezione, di analisi su ciò che potrebbe aver causato l’infertilità, ma anche di ricerca, di tentativi, di prove spesso dure e costose.
Ci sono donne che, pur non essendo ancora madri, si sentono mamme da sempre, anche se forse non lo saranno mai. Ci sono donne che affrontano il difficile percorso della pma con tenacia e coraggio. Ci sono donne che si affidano placidamente al destino, rinunciando al sogno di una gravidanza per cullare nuovi progetti.
La maternità pensata è un passaggio della vita, può durare pochi mesi o molti anni, rimane nel cuore per sempre.