Sono ancora qua, dopo svariati mesi e non so bene come vorrei leggeste questa storia. Vi invito a farlo nel modo più congeniale, in silenzio.
Perché in silenzio è anche il modo in cui io e il mio compagno ci siamo incamminati verso il primo tentativo di fecondazione assistita. Controlli, prelievi, monitoraggi, pick up e transfer. Tutto praticamente perfetto. Le emozioni si susseguono a ritmo vertiginoso in PMA e non sai mai come reagire, ma la speranza è un lumicino sempre acceso. Talmente forte che addirittura dai già un nome a quel minuscolo non-ancora figlio che porti dentro di te. Arriva il momento del dosaggio BHCG: è positivo, le gambe tremano e il cuore vola già alto. A quanto pare sono incinta! Però… perchè in questa storia sì, c’è un però.
Però le beta poi non crescono come dovrebbero, “sono troppo basse” dice la ginecologa. Arriva il momento della prima ecografia, il momento della disillusione. “C’è solo questa minuscola cameretta, senza embrione”. Non c’è nulla dunque, ci siamo illusi. Silenzio. “Adesso aspettiamo il ciclo, o vedremo il da farsi” dice la dottoressa. L’attesa del ciclo è logorante, anche perché il ciclo non arriva. Intanto via, andiamo a fare altri dosaggi. Le beta salgono, io sono a metà strada tra lo sperare ancora e uno dei miei più grandi timori: sto forse portando in grembo un non-ancora-figlio che non cresce dove dovrebbe? E allora altre ecografie. Poi, d’emblée, quel brutto sentore farsi certezza. Mi sento strana, ho perdite che non riconosco, qualche dolorino. Cerco di rimanere tranquilla, la ginecologa, del resto, mi ha rassicurata, “Signora, non credo si tratti di una gravidanza extrauterina”. Certo, lei no non lo credeva possibile, peccato che io me lo sentissi dentro.
Così, il sabato sera, chiedo al mio compagno, lentamente, quasi in silenzio “Portami in ospedale, qui c’è qualcosa che non va”. Mi visitano e finalmente, dopo tanta attesa, trovano dove si era andato a nascondere quel non-ancora-figlio. Lo chiamo figlio, perdonatemi, per me era già maschio, anche se non aveva ancora un corpo definito, anche se era solo un “embrione”. L’ intervento chirurgico per fortuna non è stato lungo perché sono arrivata in tempo. Anche se, oltre al mio sogno di diventare madre, ci ho perso purtroppo anche un tuba. Ma per fortuna, mi dico, ho l’altra e ho salva la vita. Ho avuto il timing giusto.
Ora che avrei tanto bisogno di pace e silenzio, c’è il rumore assordante dei miei pensieri che mi fa compagnia. Quanto sarà lunga questa battaglia, quante volte dovrò passare di nuovo dal via? Quante domande, quante risposte, quanto tempo. Lo inganno, il tempo, guardo crescere i fiori d’aprile del mio bellissimo giardino. Chissà quanto avrò il coraggio di fare lo stesso.