L’inizio di un sogno

Quella notte non avevo chiuso occhio. Guardai ancora una volta l’orologio sul comodino: erano le cinque del mattino. Da giorni avevo fitte continue all’addome ma il ciclo non era ancora arrivato. Finalmente era giunto il momento delle analisi; il laboratorio non avrebbe aperto prima delle otto e Iacopo, la sera prima, aveva acquistato un test di gravidanza: voleva ridurre i tempi di un’attesa che ci stava corrodendo. Stringevo quell’astuccio tra le mani. L’esito sarebbe arrivato entro tre minuti: 180 secondi. Quei 180 secondi che conoscevo benissimo e che, troppe volte, avevo consumato in attesa da sola, nel bagno quando, non sapendo ancora di essere sterile, sognavo di leggere quelle sette lettere che avrebbero, per sempre, cambiato la mia vita. Solo 180 secondi, un tempo brevissimo ma che può dilatarsi all’infinito per quanti pensieri, in quell’impercettibile movimento di una lancetta, possano affollare la mente. In quel lentissimo intervallo di tempo, così lento che sembrava essersi fermato, ricordai anche il sapore di un’altra attesa. Deglutii: in gola sentii risalire l’amaro di un test mai fatto quando anche solo un giorno di ritardo mi faceva precipitare in un baratro di paure. Senza neanche rendermene conto feci un passo indietro mentre Iacopo mi si parò davanti.
Il grande orologio a muro affisso alla parete del bagno continuava a ticchettare e proprio mentre sentivo che i battiti del mio cuore pulsavano a una velocità maggiore di quella scandita dalle lancette, fu Iacopo a voltarsi verso di me. Aveva le lacrime agli occhi. Sul display era inciso il verdetto.

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