Il tumore, gli ovuli congelati e i figli: la vittoria di Silvia

È diventata madre grazie alla crioconservazione prima di iniziare la chemio. Di Cagliari, ha 38 anni, un bimbo di due ed è in attesa di due gemelle

Dieci anni fa, quando i medici le consigliarono di iniziare subito le cure perché era già stato perso molto tempo, Silvia fece un lungo sospiro. Era giovane e spaventata ma sufficientemente lucida per sapere quali potevano essere le conseguenze della chemioterapia. E anche se ancora l’orologio biologico non era scattato, Silvia non voleva precludersi la possibilità di diventare madre in futuro. Così, prima di cominciare la cura per sconfiggere il linfoma non hodgkin che le faceva compagnia da un anno, decise di seguire il percorso per la crioconservazione degli ovociti al Policlinico Sant’Orsola di Bologna. Era il 2012 e Silvia aveva 28 anni. Oggi ne ha 38, un figlio di due ed è in attesa di due gemelle che nasceranno a giugno: tutto merito della sua lungimiranza e soprattutto «dei 14 ovociti prelevati 10 anni fa, il tesoretto senza il quale non sarei potuta diventare madre». Infatti i cicli di chemio e il successivo autotrapianto le hanno salvato la vita ma l’hanno anche resa sterile. E lei dentro di sé sapeva che sarebbe accaduto.

Madri dopo il cancro. Silvia, cagliaritana, impiegata in una grande azienda, è una delle 15 donne che sono diventate mamme grazie agli ovociti congelati al Sant’Orsola di Bologna, nella struttura Infertilità e procreazione medicalmente assistita diretta dalla ginecologa Eleonora Porcu. Silvia è una delle donne al centro dello studio pubblicato qualche giorno sulla rivista scientifica “Cancer”: ad accomunarle il fatto di essere ex pazienti oncologiche che hanno scelto di guardare avanti, verso ciò che sarebbe successo dopo la malattia e le cure che nella maggior parte dei casi generano insufficienza ovarica prematura, una “menopausa precoce” che rende impossibile rimanere incinta in maniera naturale. Per loro, come per le altre donne guarite che nel frattempo hanno superato l’età fertile, gli ovociti conservati in azoto liquido a 196 gradi sotto zero, rappresentano l’unica possibilità per soddisfare il desiderio di maternità. «Erano lì – racconta Silvia – e questo era per me rassicurante, perché sapevo di poterli utilizzare in caso di necessità. L’ho fatto e mi è cambiata la vita. Quando ho scelto di fare il prelievo degli ovuli ho ascoltato il mio istinto e ringrazio ogni momento di averlo fatto. E nel mio percorso, segnato dalla malattia e poi dalla maternità, vedo qualcosa di miracoloso».

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