Oggi per la rubrica #oltrelestorie incontriamo Marisa Fiumanò, psicanalista e autrice del libro “A ognuna il suo bambino. Infertilità, psicanalisi e medicina della procreazione” edito da Nuove Pratiche Editrice, che tratta di procreazione assistita osservata da un punto di vista psicanalitico.
Ciao Marisa, le tue ricerche e i tuoi studi si sono concentrati sulla sessualità femminile e sul rapporto fra psicoanalisi e nuove tecnologie. Come è nata questa tua particolare area di interesse?
È stata una conseguenza naturale della domanda che ha guidato la mia prima analisi, una domanda sul “che vuole una donna?”. All’epoca, ero molto giovane, mi chiedevo se la femminilità fosse compatibile con la maternità, col desiderio di bambino, etc. Domande di tutte le donne, esplicitate o meno, indagate o no, tradotte o meno in scelte di vita. Nel mio caso si sono tradotte anche in una professione, una scelta in un certo senso obbligata, un destino forse. Ci sono altri modi per cercare risposte alle questioni fondamentali: poesia, letteratura, pittura, le arti insomma. Io ho lavorato sulle parole, sulla loro materialità, sul loro suono, sul discorso che tessevano, una volta pronunciate dal divano. Prima le mie parole, poi quelle delle mie pazienti e poi di nuovo le mie (nella mia seconda, fortunatissima, analisi) e poi ancora le loro. Ci sono poi le parole dei miei supervisori, con cui ho condiviso i punti di impasse delle cure, quelle dei miei colleghi, coinvolti, come me, nella stessa ricerca. Le “nuove tecnologie” o meglio la tecno-medicina applicata alla sessualità, mi colpiva perché sollecitava un desiderio intimo, profondo di tante donne, anche se, va detto, non di tutte: il desiderio di un bambino. La tecno-medicina non promette, fornisce il bambino, tendenzialmente escludendo la funzione del padre. Intendo la sua funzione simbolica perché lo riduce tendenzialmente a una funzione spermatica. Questo ai bambini non fa affatto bene; e alle donne neppure. Agli uomini non ne parliamo. La tecno-medicina esce potenziata dalle sue performances procreative, gli uomini e le donne ne escono mortificati. Non sto dicendo che dobbiamo essere contro il ricorso alla tecno-scienza ma dobbiamo sapere che questo ha un prezzo. Nel mio libro ne parlo a lungo e per questo qualcuno mi ha accusato di oscurantismo. Avere dubbi, sollevare domande, avvertire, non è consentito. La fiducia nella tecno-medicina deve essere assoluta perché, effettivamente, fa miracoli. Noi psicoanalisti non facciamo miracoli anche se, effettivamente, a volte guariamo sintomi enormi. In realtà i casi d’infertilità che ho seguito erano quelli risultati resistenti anche alla medicina. La psicoanalisi era l’ultima spiaggia, l’ultimo tentativo dopo altri, considerati più efficaci.
Negli anni ti sei occupata di procreazione assistita e della sua regolamentazione giuridica, in collaborazione con ginecologhe, giuriste, psicologhe e assistenti sociali. Ritieni che siano stati fatti passi in avanti per quanto riguarda la PMA?
Il lavoro fatto con le altre professioniste è stata una bella esperienza. Non partivamo da posizioni pregiudiziali ma il tema appassionava tutte. La ricerca era a tutto campo. Va detto che in quegli anni, (intorno al Duemila), in Italia almeno, non c’era nessuna regolamentazione sulla PMA e tutti gli esperimenti erano possibili. Ho detto bene: esperimenti perché anche la più semplice delle pratiche fecondative comporta come minimo dei bombardamenti ormonali delle donne. All’epoca però gli esperimenti erano anche altri e spesso oggetto di pubblicità mediatica. Penso alle nonne-mamme, agli embrioni tenuti in vita per settimane in uteri sezionati da cadaveri e così via. Non c’erano criteri condivisi per approvare o condannare tutto questo. La cultura non era attrezzata per integrarli o rigettarli. Ora, dopo più di dieci anni, all’incirca, di silenzio, la questione si ripropone con il dibattito sulla “maternità surrogata”, con la polemica se le donne possano o meno funzionare da incubatrici naturali di figli altrui (soprattutto di coppie gay) ; se siano libere o meno di disporre del proprio corpo, se questa non sia una nuova forma di schiavitù dissimulata. Pochi s’interrogano sul bambino: cosa succede a un bambino nei nove mesi della gravidanza ? Quali. imprescindibili, legami stabilisce con la madre? Come peserà sulla sua vita la programmazione della sua nascita? In Italia, come sappiamo, la legislazione è oggi molto restrittiva ma si tratta dell’eccezione di un paese cattolico. Le frontiere sono facili da attraversare.
Nel tuo libro “A ognuna il suo bambino. Infertilità, psicanalisi e medicina della procreazione” affronti i problemi sorti intorno alle tecniche della procreazione assistita dal punto di vista della psicoanalisi. Perché è importante indagare sull’ infertilità da un punto di vista psicanalitico?
Dopo che la nostra volenterosa e composita equipe di lavoro si è dissolta, pensavo che mi sarei occupata ancora di PMA lavorando con i bambini nati da queste tecniche. Mi sbagliavo: innanzitutto perché i genitori sono comprensibilmente restii a far sapere come sono nati i loro bambini, poi perché non ci sono patologie specifiche dei figli della PMA. Almeno a mia conoscenza. Capita di averli sul divano e la modalità della loro nascita pesa sul loro discorso ma questo non ne fa dei soggetti con caratteristiche particolari. Quanto alle cause psichiche dell’infertilità: l’80% delle infertilità, dicono le statistiche, ha radici psicologiche. È inutile bombardare di ormoni una signora che non “può” avere bambini perché non ha “diritto” ad averne come sua madre. Oppure perché non vuole (inconsciamente) averne dal suo partner. Sono esempi di “impossibilità” di cui le donne non sanno niente ma che agiscono bloccando la fecondazione. Ci sono infertilità di coppia che si sbloccano, per uno o entrambi i partner, quando si formano delle nuove coppie, ad esempio.
Come vivono gli uomini e i futuri padri il difficile percorso alla ricerca di un figlio?
In genere gli uomini assecondano il desiderio della donna per amore, per quieto vivere, per comodità. Per loro “avere il bambino” non fornisce un’identità. Spesso cominciano col voler far contente le donne, sottraendosi magari ad un’accusa di impotenza, e finiscono con l’essere dei produttori di sperma che assistono silenziosi, dietro il lettino del ginecologo, il vero inseminatore, alla fecondazione della propria donna. A me è capitato di incontrarli quasi sfiniti, magari alla fine di una serie di tentativi, accompagnati da donne sempre più ostinate e ancora pronte ad affrontare qualsiasi difficoltà pur di ottenere una gravidanza. Per loro venire da me era quasi un tentativo di sbarazzarsi di una domanda insistente e ingombrante, che non sapevano più come trattare. Succede anche che alcuni uomini si mettano in una posizione femminile, che si identifichino con una donna. Non é una possibilità da escludere. Certamente è così nelle coppie gay alla ricerca di un bambino via maternità surrogata. In quel caso almeno uno dei due partner deve essere in posizione femminile. Se si domanda un bambino non si può che essere in una posizione femminile, anche se si è, biologicamente, uomini. In generale, comunque, gli uomini “adottano” il bambino una volta che è nato. La paternità è sempre, innanzitutto, simbolica. Per una donna il bambino passa dal corpo; per un tempo, il tempo della gravidanza, è un pezzo di corpo che rende sicure, potenti, soddisfatte, senza buchi. Con le dovute eccezioni, s’intende.