Lo spazio di oggi della rubrica #oltrelestorie è dedicato ad Adele Lapertosa, autrice del libro “Il bambino possibile. Guida alla fecondazione assistita“, edito da Il Pensiero Scientifico Editore, un’ottima guida per le coppie su come orientarsi nel mondo della Procreazione Medicalmente Assistita.
Ciao Adele, il tuo libro “Il bambino possibile. Guida alla fecondazione assistita”, edito da Il Pensiero Scientifico Editore, un vademecum utile sulla PMA. Com’è arrivata l’idea di pubblicare un libro?
L’idea è nata dalla mia esperienza personale. Sono una giornalista scientifica, e con il mio lavoro mi sono occupata parecchio dei temi legati alla procreazione assistita. Ma pur essendo già ‘esperta’ dell’argomento, o almeno, mi ritenevo tale, mi sono resa conto, quando l’ho dovuta vivere sulla mia pelle, che non ne sapevo abbastanza. Non sapevo ad esempio quali erano gli esami di routine per accertare l’infertilità in un uomo e in una donna. Io e mio marito siamo dovuti passare per tre tentativi, in tre centri diversi, e l’aiuto di una psicologa perché rimanessi incinta. I primi due cicli, fatti in due diverse strutture di due Regioni distinte, sono stati fallimentari, perché non mi avevano fatto fare le analisi giuste, e quindi anche la stimolazione ormonale era stata errata. Si era partiti pensando che il problema fosse di mio marito e alla fine abbiamo scoperto che era mio. Ma questo solo al terzo tentativo, quando finalmente abbiamo trovato il medico giusto, una ginecologa bravissima, intuitiva e che non ha lasciato nulla di intentato. Ci ha ascoltato e fatto le domande giuste.
Ho così realizzato che, soprattutto col primo ciclo di fecondazione assistita, non ero stata seguita bene, e tutto quello che pensavo di sapere non mi era servito, non mi aveva protetto da fallimenti e una sofferenza enorme.Così mi sono ripromessa che se fossi riuscita ad avere un figlio, avrei scritto un libro per cercare di aiutare tutti coloro che devono affrontare, o stanno pensando di affrontare, la procreazione assistita. Una piccola ‘guida per l’uso’, con informazioni scritte in modo semplice e comprensibile, ma affidabili scientificamente grazie alla consulenza di esperti del settore, per sentirsi un po’ meno ciechi e soli in questo tunnel.
Un testo che racchiude spiegazioni di una persona che conosce le difficoltà delle coppie che affrontano un percorso per nulla facile. Vuoi raccontarci la tua esperienza con la diagnosi di infertilità e il tuo percorso con la procreazione assistita?
Tutto è iniziato alla fine del 2010. Dopo un anno che cercavamo di avere un figlio, convinsi mio marito a sottoporsi ad uno spermiogramma e il responso fu drammatico: astenospermia severa, cioè i suoi spermatozoi erano quasi immobili. Un colpo durissimo. Dalla sera alla mattina parole prima sconosciute entrarono a far parte del mio vocabolario. La cosa che più desideravo al mondo era avere un figlio, e c’era il forte rischio che non potessi riuscirci. Mi sembrava di impazzire. Tra l’altro, nei 6 mesi successivi, in cui ci era stato prescritto di andare avanti a fare tentativi mirati, io e mio marito abbiamo dovuto vivere separati, perché lui aveva iniziato a lavorare a Milano, mentre io stavo a Roma. Quindi ero di fatto continuamente sola con questo pensiero che mi tormentava tutto il giorno e nessuno con cui parlarne. Ero diventata ossessionata e depressa, e invidiavo tutti gli amici e parenti che in quel momento mi comunicavano di aspettare un figlio. C’erano momenti in cui scoppiavo a piangere all’improvviso, riuscendo a stento a mascherarlo al lavoro. Come dicevo prima, siamo dovuti passare per tre cicli di fecondazione. Il primo è stato fatto a cavallo tra Roma, dove c’era il ginecologo che ci seguiva, e un centro convenzionato di Abano Terme, dove abbiamo fatto il pick up e transfer degli embrioni, e gli altri due a Milano (dove poi ci eravamo trasferiti dall’agosto 2011), il primo in un grande ospedale convenzionato, il secondo in una struttura privata.
I primi due cicli di procreazione assistita sono stati un fallimento, e hanno avuto lo stesso esito: sono riusciti a ricavare solo 5 embrioni, me ne hanno impiantati 2, e gli altri non è stato possibile congelarli perché non si sviluppavano bene. Pur avendo 34 anni nel primo caso, e 35 nel secondo, la mia risposta alla stimolazione ormonale era bassa. Nel frattempo a Milano avevo iniziato a farmi seguire da una ginecologa che mi aveva raccomandato un’amica di mia madre, dopo l’esperienza positiva avuta con la figlia. Lei visitava solo privatamente, ma era una persona estremamente disponibile, seppure un po’ burbera all’apparenza, rispondeva a qualsiasi domanda, e si capiva che era molto brava e intuitiva, vagliava possibilità che altri non avevano considerato.
Dopo il secondo fallimento però, ero davvero a pezzi, così chiesi a mio marito di andare insieme da una psicologa, che lavorava con coppie con problemi di fertilità, per farci aiutare. E devo dire che mi è servito molto. Sono stati solo 4 incontri, ma sono stati l’occasione per farci tirare fuori tante cose non dette, malesseri e paure, rabbia, e per anche capire che dovevo affrontare la cosa in modo diverso. Avevo infatti messo la mia vita in stand-by dopo la diagnosi di infertilità, rimandando tutto al dopo un’eventuale gravidanza. E se non fosse mai arrivata? Non potevo smettere di vivere. Ho iniziato quindi ad essere un po’ più rilassata. E subito dopo le vacanze estive e un bellissimo viaggio in Portogallo, a fine agosto, iniziammo a fare il terzo tentativo con questa dottoressa a Milano, che nel frattempo aveva scoperto che io avevo un problema di scarsa riserva ovarica, e una mutazione che aumentava il rischio di trombosi. Così mi fece seguire anche da un’ematologa parallelamente. Il ciclo però, anche in questo caso, sembrava che stesse andando nella direzione dei due precedenti, cioè troppi pochi ovuli. Erano addirittura troppi pochi per tentare un’eventuale fivet. Ma la mia ginecologa decise che era un peccato ‘sprecare’ il lavoro fatto, anche perché le condizioni generali erano buone, e tanto valeva tentare un’inseminazione intrauterina. Decisi che quella volta dovevo essere ottimista e non pensare subito al fallimento.
Non so quanto abbia influito il mio stato d’animo, ma sta di fatto che sono rimasta incinta, e con un’inseminazione intrauterina. Le probabilità che questo accada normalmente sono circa del 10%. Insomma, sono stata davvero fortunata! A maggio 2013 è nata nostra figlia Teodora.
Quali sono gli ostacoli più comuni che una coppia deve affrontare nel percorso di
Fecondazione Assistita?
Il primo ostacolo direi che è senz’altro di tipo psicologico, la solitudine. Solo chi ha vissuto un percorso in prima persona capisce veramente cosa significa. Le altre persone che uno ha vicino, dalla famiglia agli amici, per quanto possano essere disponibili, non capiscono il tuo dolore, tendono a sminuirlo, molti ti giudicano e a livello sociale sono in tanti coloro che ritengono degli egoisti capricciosi chi tenta di avere un figlio con la fecondazione assistita, quando invece si tratta di un problema medico. L’infertilità è una patologia. Poi c’è il problema della mancanza di informazioni corrette.
Ci si affida a internet, al passaparola, e si rischia spesso di finire nelle mani di persone che hanno poca esperienza, disponibilità e molta fame di soldi. Gli altri ostacoli sono il tempo e i costi. Il tempo che bisogna aspettare per avere appuntamenti e le liste d’attesa, per fare gli esami e i vari tentativi (che uno vive come una perdita di tempo, mentre sente il ticchettio imperioso dell’orologio biologico), e i soldi da spendere per sottoporsi a cicli ed esami. Per farsi seguire nel pubblico o nelle strutture convenzionate bisogna aspettare mesi, in quelle private meno ma si paga molto di più, e non tutti se lo possono permettere o hanno qualcuno che li aiuti economicamente
Dalla tua esperienza personale che suggerimento daresti a quelle coppie che iniziano il
proprio viaggio verso quel “bambino possibile”?
Il primo suggerimento è quello di ‘aiutarsi’, trovando qualcuno con cui parlare e sfogarsi, che sia uno psicologo o un amico che ci faccia sentire ascoltati e non giudicati. Poi cercare di mantenere la comunicazione con il proprio partner, perché uomini e donne vivono questo viaggio in modo diverso. Il mondo maschile tende ad essere più introverso e non disponibile al confronto, a parlare, e a volte questi silenzi pesano come macigni, perché si può finire per interpretare male comportamenti invece dettati da buone intenzioni. L’altro consiglio è quello di informarsi bene sul centro e medico da cui ci si vuole fare seguire. Cercare le referenze sul medico, le opinioni sui forum, e i dati sul centro (disponibili sul registro Pma dell’Istituto superiore di sanità), come il numero di cicli fatti in un anno, il numero di bambini nati vivi, la possibilità di congelare ovociti ed embrioni, i servizi offerti, gli anni di attività, la percentuale di gravidanze gemellari su quelle totali ottenuti. Infine un invito a non vergognarsi e nascondersi. Non si sta facendo nulla di male, e anzi, bisogna essere orgogliosi di se stessi perché si dimostra una forza che non tutti hanno.