Il secondo appuntamento di #oltrelestorie, la rubrica di ParoleFertili dedicata all’approfondimento e alle interviste. Il protagonista di oggi è un uomo, Eugenio Gardella, autore del romanzo “Sei sempre stato qui” edito da Frassinelli, racconto del viaggio fisico e spirituale che lo ha portato a diventare due volte papà.
L’intervista completa:
Il tuo romanzo autobiografico “Sei sempre stato qui” racconta la storia di un viaggio, fisico e spirituale, alla ricerca di un figlio. È in Cambogia che tu e tua moglie Roberta incontrate per la prima volta Mario, il “bambino magico”, che entrerà a capofitto nella vostra vita. Cosa ti ha spinto a raccontare la tua storia all’interno di un libro?
Quello che rende certe storie degne di essere raccontate è che i personaggi che ne fanno parte davvero infrangono quella barriera invisibile fra il possibile e l’impossibile. Per fare questo, ed è una cosa che succede ogni giorno a molti di noi, distruggono e ricostruiscono loro stessi. Riescono a vivere e a lottare anche là dove non avrebbero creduto di sopravvivere.
Quando gli esseri umani riescono a fare questo, a volte succede qualcosa di magico. In alcuni casi può trattarsi di un figlio. E in questo caso nostro figlio, ha portato con sé un dono, un qualcosa di indicibile.
Non potevo non raccontare.
Quando hai incontrato per la prima volta Mario aveva poco più di un anno ed era magro e denutrito. Tornati in Italia, si instaura subito tra di voi un rapporto magico, esclusivo che mette da parte l’assenza di un legame di sangue. Cosa significa diventare papà di un bambino adottato? Quali emozioni ti ha donato e continua a donarti questa esperienza speciale?
A dire la verità sono divenuto suo padre appena l’ho visto. Non c’è voluto neanche un istante. Mario era già mio figlio prima ancora che lo vedessi e per me è sempre stato l’unico figlio possibile solo che non lo sapevo. Lui mi aspettava da sempre sul ciglio del destino. Noi eravamo da sempre lì uno per l’altro. Aspettavamo solo di incontrarci.
Non esiste figlio più grande di quello che ti insegna che sei un uomo dai confini più ampi di quanto la tua piccola mente, un giorno, avrebbe mai potuto immaginare. Non esiste figlio più vero di quello che ti insegna che non bisogna essere forti per avere coraggio.
Di ritorno in Italia, tua moglie Roberta scopre di essere incinta. Una gravidanza inaspettata, quasi miracolosa dopo numerosi tentavi non andati a buon fine. I problemi di infertilità possono mettere a repentaglio l’equilibrio della coppia, destabilizzando gli umori e creando tensioni. Come avete affrontato tu e tua moglie i problemi di infertilità di coppia?
Non credo esistano ricette infallibili. Noi abbiamo resistito a una pressione che in certi istanti è stata intollerabile. Lo abbiamo fatto perché siamo riusciti a allargare il significato di ciò che ci stava accadendo.
Molto spesso nella coppia si cede alla tentazione di addossare sull’altro il peso di una vita che non comprendiamo più. Il senso di un nostro essere che ci sfugge. L’altro, a volte solo per superficialità, diventa il parafulmine delle nostre incertezze.
Possiamo salvarci come singoli, come coppia e come società solo se sappiamo comprendere l’altro. Intendo comprendere nel senso di prendere in noi l’altro. Accettarne le paure, i limiti, le bellezze come un tutto unico che amiamo, un qualcosa che ci appartiene nonostante tutto. Un qualcosa che fa parte di noi.
Saper ricondurre ad un significato più alto, ci aiuta a non frantumarci in piccolezze.
D. Sono molte le scrittrici che hanno raccontato le proprie storie di infertilità all’interno di un libro. Molti di meno gli uomini. Tu, Eugenio, sei tra questi. Qual è, secondo te, la ragione di questa discrepanza? Quanto è importante, per un uomo, condividere e raccontare la propria esperienza?
Sei sempre stato qui è fra le altre cose un romanzo che parla di consapevolezza. Quella consapevolezza che ti consente di tenere il timone, il senso della direzione. Allora è necessario sapere chi sei. Sapere da dove vieni. E in questo è compresa la tua fragilità, la tua incertezza. Solo in questa capacità critica puoi comprendere l’altro e te stesso.
La nostra cultura ci ha consegnato un terribile retaggio. La vergogna nei confronti della nostra debolezza. Il senso di colpa dovuto al fallimento e alla malattia. A volte anche per questo motivo soprattutto gli uomini, i maschi, sono portati, senza saperlo, a rinnegare parte della propria umana complessità.
La nostra è una società che ha sempre voluto uomini duri, macchine pronte al lavoro e alla guerra. Macchine pronte alla conformazione culturale. Io rivendico un diritto con questo libro, il diritto degli uomini, e dei padri, di riprendersi la loro fragilità e la loro forza, la loro libertà e il loro cuore, la loro tenerezza e la loro intelligenza.