Oltre le storie: l’intervista all’autrice Raffaella Clementi

Parte oggi la nostra rubrica #oltrelestorie. Uno spazio di approfondimento, un luogo di incontro, uno scambio di impressioni attraverso interviste ai principali attori delle nostre storie fertili: le persone. La protagonista di oggi è Raffaella Clementi, autrice del romanzo “Lettera a un bambino che è nato”, che ha già donato una storia all’interno della community.

OLTRE LE STORIE DEFINITIVO

L’intervista completa:

Il tuo romanzo “Lettera a un bambino che è nato” racconta la storia autobiografica di una donna lungo il viaggio, che definisci “calvario”, per diventare mamma. Cosa ti ha spinto a raccontare la tua esperienza e a farne un libro?

L’idea del libro è nata casualmente. Doveva essere il regalo per il primo compleanno di mio figlio. Io amo scrivere, l’ho sempre fatto e volevo raccontare a mio figlio la sua storia. Quella mia e del suo papà. Volevo raccontare quanto amore , entrambi, avevamo messo nel cercarlo. Solo in un secondo momento, abbiamo, mio marito ed io, deciso di per rendere pubblico quello che è nato come un diario per il mio bambino. Ho deciso di espormi solo dopo aver aperto il blog che gestisco mammamimmononsolo.blogspot.it. È attraverso il blog, infatti, che ho scoperto che tante altre donne avevano vissuto il mio stesso dolore, la mia stessa rabbia. Molte di loro, come me, vivevano la difficoltà di concepire come un dramma. Perché l’infertilità è un vuoto difficile da gestire. E’ stato allora che ho deciso di condividere con le altre i sentimenti provati, ma anche l’idea di potercela fare. Volevo che la mia esperienza fosse speranza per tutte le altre.
Il tema dell’infertilità viene trattato da molti. Autorevolmente e non, ma raccontare le emozioni senza corazze, condividere sentimenti vissuti, accogliere la sofferenza, è un altro discorso. Credo che parlare sinceramente, ascoltare un dolore che si è conosciuto, aiuti chi sta ancora cercando, a sentirsi meno sola. Io, sono stata una donna fortunata, una di quelle che ce l’ha fatta. Ma non dimentico la sensazione subdola e cattiva di sentirsi inadeguata, di sentirsi, in un certo senso, sbagliata. Normalmente non do quasi mai consigli. Non ne ho per me, figuriamoci per le altre. Credo che la mia migliore qualità sia l’empatia e l’ascolto e la capacità di condividere le emozioni, belle o brutte che siano.

Nel tuo libro affermi che “essere sterili è una frattura che comincia come una crepa lungo le pareti della coppia e provoca la sensazione di essere stati traditi, esc
lusi dall’ordine naturale delle cose”. Quale consiglio senti di dare alle coppie che stanno affrontando lo stesso percorso per mantenere la stabilità, senza farsi sommergere dalla negatività degli eventi?

Premesso che non ho consigli da dare, perché credo che già si è in troppi nelle camere da letto delle coppie che cercano figli che non arrivano, vescovi, ministri ecc, ai quali non ho certo voglia di aggiungermi!. Una sola cosa posso suggerire: di provare a non allontanarsi. Di cercare di stare sulla stessa lunghezza d’onda. Alle donne, sussurro di non sentirsi sbagliate, difettate o in colpa. Di sforzarsi di continuare a vivere la vita e di non farsi assorbire completamente dalla ricerca di un figlio. Di tentare di conservare il senso di integrità e identità rispetto alla mancanza di spazio mentale oltre il progetto, figlio. Il rischio di allontanarsi dal partener e dalla realtà può essere molto alto. Agli uomini, di capire che l’infertilità è la malattia del vuoto, appunto. È senso di inadeguatezza. È sentire di voler dare la vita e non riuscire a farlo. È frustrazione, perdita di sé e del proprio compagno. È il buio, e quindi di comprendere le loro compagne. Fortunatamente mio marito mi ha capita, sostenuta, abbracciata nei momenti bui, senza farmi sentire la sua delusione e le sue paure. È stato solidale, anche se in alcuni momenti, forse, avrebbe desiderato non lasciare che la nostra vita fosse assorbita completamente dalla ricerca di un figlio. Mi sono appoggiata a lui. Lui è stato più bravo di me.


Oggi si sente molto parlare di infertilità. Molto spesso di “infertilità femminile”, di rado “maschile” o, meglio ancora, “di coppia”. Credi che le donne con problemi di fertilità siano ancora stigmatizzate all’interno dell’attuale società?

Altro che! Basta guardare l’oltraggiosa campagna del Fertility day, promossa dalla Lorenzin in questi giorni. Uno schiaffo in pieno volto per tutte le donne. Purtroppo l’idea che una donna per sentirsi realizzata debba avere figli, è ancora preponderante. Senza capire che, questa idea è fondamentale solo per coloro che un figlio lo vogliono davvero. I problemi del nostro paese sono moltissimi. È più facile sensibilizzare l’opinione pubblica con slogan ad effetto, terribile, tra le altre cose, piuttosto che lavorare davvero sulla soluzione dei veri problemi. Mancanza di lavoro, welfare sociale che sostenga le coppie, aiuti in termini di tempo e denaro, orari flessibili, telelavoro e prolungamento dell’assenza in caso di maternità, o semplicemente, asili aziendali. Un esempio? Si spendono soldi per una campagna disatrosa, ma quante campagne ci sono a favore della crioconservazione degli ovuli? Nessuna. Perché è nettamente più facile manovrare le informazioni invece di soffermarsi a comprendere perché le noi donne facciamo figli sempre più tardi e perché l’età biologica non coincide più con quella sociale.

Diventare mamma attraverso PMA. Qual è stata la difficoltà più grande che hai dovuto affrontare durante il percorso di Procreazione Medicalmente Assistita?

Il momento peggiore è stato venire a patti con un sentimento simile al vuoto, alla perdita. Il non riuscire ad avere figli evoca sentimenti profondi, a volte simili al lutto. Ho perso mio padre a quattordici anni appena compiuti e conosco il senso di separazione, di abbandono. Il momento peggiore è stato quando ho vissuto, di nuovo, la sensazione della fine della vita senza la progettualità di un futuro. L’assenza del passaggio di un testimone, tra l’oggi e il domani. Oltre all’incertezza e la perdita del controllo sul tempo e sul mio corpo. L’infertilità cambia la percezione delle cose. Da una parte vorresti che il mondo si fermasse, dall’altra lui continua ad andare avanti per la sua strada e tu fatichi a stragli dietro.

 

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