Attraversando l’inferno per arrivare a Te

La mia storia è fatta di una continua salita e discesa dalle montagne russe. Mi sono sposata quasi da 8 anni con l’uomo dei miei sogni, il ragazzo con cui ho costruito un legame solido e grazie a questo sono riuscita a rimanere sempre in barca anche con un mare con onde spaventose ma per fortuna non sono mai affogata nel dolore. Dopo il matrimonio abbiamo deciso di allargare la nostra famiglia e da lì iniziò il nostro calvario. La prima volta che rimasi incinta eravamo così contenti e spaventati allo stesso tempo, increduli per quelle linee rose che apparvero una mattina sul test di gravidanza. Subito pronti a gioire con le persone a noi più vicine, ma ben presto iniziarono le minacce di aborto, la corsa in ospedale, una settimana a letto tra antiemorragico e punture, per cercare di salvare qualcosa che non si poteva salvare. Dopo una settimana una nuova ecografia dove confermano che la gravidanza si era interrotta e che dovevo aspettare che il corpo mandasse il segnale di espulsione, cosa che non fece, le beta salivano, la camera gestazionale era vuota e rimasi per ben 20 giorni con un aborto interno, ma mi dissero che il corpo doveva fare il suo corso. In quei giorni avrei preferito dormire, per non dover sopportare il fatto di avere un aborto interno, volevo solo voltare pagina, ma dovetti aspettare 3 settimane. Dopo non ce la feci più ad aspettare, andai al pronto soccorso e chiesi di aiutarmi, così misero fine a quella agonia, raschiamento e tornai a casa. Dopo 1 anno rimasi incinta di nuovo, questa volta pensai che fosse la volta buona, il pomeriggio dell’ecografia io e mio marito eravamo così contenti che tutto procedeva bene che la sera decidemmo di andare a mangiare una pizza per festeggiare, mentre ero seduta al ristorante sentii del liquido scendere, corsi al bagno e mi accorsi che era sangue, ci precipitammo di corsa in ospedale e di nuovo la stessa storia, una settimana di riposo, antiemorragico e punture per finire sempre con la rottura dei nostri sogni. Secondo raschiamento e il 24 dicembre di quell’anno tornai a casa devastata dal dolore. Non so neanche io quante lacrime ho versato. Decido di ricomporre i pezzi che si erano frantumati dentro di me, faccio un lavoro interiore, e insieme a mio marito ci risolleviamo. In quel periodo eravamo anche vicini a mio padre che lottava contro un grave tumore, erano già 5 anni che lottava per vivere, ma nell’ultimo periodo però la “bestia” prese il sopravvento e purtroppo mi tolse uno dei punti di riferimento più importanti per me. Ero totalmente devastata dal dolore…ma decisi di andare avanti e ricomporre ancora una volta i pezzi della mia vita. Dopo 5 mesi dalla morte di mio padre scopro di essere incinta per la terza volta, stavolta decisi di farmi seguire da un ottimo Ginecologo, anche questa gravidanza era partita con le solite minacce di aborto, ma con l’aiuto farmacologico procedeva, dovevo stare a riposo ma per la prima volta la mia pancia cresceva e sentivo scalciare il mio piccolo Angelo, così lo chiamai come mio padre. Quando al quarto mese seppi che era un maschio non avevamo dubbi sul nome e non potevo immaginare quello che sarebbe successo più tardi. Qualche giorno prima delle 22 settimane inizio a stare male, iniziai ad avere delle perdite bianche e liquide, iniziai ad avere dei dolori che tenevo a bada con dei farmaci datomi dal mio ginecologo con cui mi tenevo in stretto contatto. L’indomani avevo la morfologica in cui dovevamo vedere il nostro bambino in 3 d, arrivati dal medico appena mi poggiò l’ecografo si accorse che il sacco si era aperto e il bambino premeva per uscire, mi disse di correre in ospedale che sarei dovuta essere ricoverata d’urgenza, andai in ospedale, codice giallo, barella, e mi dissero quelle parole che non avrei mai voluto sentire “mi dispiace signora ma non c’è più niente da fare, si è rotto il sacco, ha le contrazioni e il bambino è troppo piccolo per poter sopravvivere”, quella sera avrei preferito morire insieme a mio figlio, non avrei voluto separarmi da lui, sentivo che scalciava, mi poggiai una mano sulla pancia e gli dissi “non ti preoccupare che c’è mamma con te”. L’indomani arrivarono le contrazioni più forti e partorii con dolore mio figlio e poi mi portarono in sala operatoria per un raschiamento, persi molto sangue, ero distrutta. Non avevo più una percezione del mio corpo, non sapevo più chi ero. Quando tornai a casa passai molti giorni a piangere, non avevo la forza di reggermi in piedi, sentivo ancora dei movimenti all’interno del mio addome, a volte dovevo ritornare alla realtà per rendermi conto che non stavo sognando. Dissi più volte perché a me è dovuta succedere una disgrazia del genere? Perché? Con molto coraggio, determinazione, forza di volontà e non so nemmeno io che cosa, ho iniziato a fare dei piccoli passi per uscire dal tunnel di disperazione in cui era caduta, in un anno persi mio padre e mio figlio. Non sapevo da dove ricominciare, vedevo solo cumuli di macerie, dolore, disperazione. Decisi un giorno di segnarmi di nuovo in palestra e con mio marito ci allenavamo insieme, ripresi la mia normale routine, c’erano giorni in cui facevo fatica a svegliarmi, e giorni in cui il dolore era più sopportabile. Il mio Ginecologo mi disse di provarci ancora dato che l’utero era più pronto per ospitare una nuova gravidanza, quando mi disse quelle parole ero incredula ma anche speranzosa. Così dopo tutto il dolore che provai e che provavo e provo ancora, decidemmo di riprovarci….conscia che non sarebbe stata una passeggiata di salute e che avrei dovuto affrontare un nuovo calvario. Rimasi incinta per la quarta volta, iniziarono le solite minacce di aborto, ma senza grandi distacchi (avevo imparato anche a riconoscere la consistenza del sangue, non avevo grumi, quindi non si era formato un grande distacco), la solita trafila, riposo, medicine e speranza. Dopo 10 giorni la gravidanza partì e tutto procedette bene, stavolta la mia pancia esplose. Feci il solito prenatal safe per sapere se fosse tutto a posto, ma stavolta non volevamo sapere il sesso del bambino, per noi era solo importante e prioritario arrivare alla fine del percorso. Continuai la mia terapia giornaliera, ovuli, punture, cortisone, e tanta ansia mista a speranza, ma a 32 settimane si aprì il parto di nuovo, corsa in ospedale 3 settimane di degenza con flebo, riposo e punture. Dopo 3 settimane torno a casa e a 35+4 mi ricoverano per far nascere Simone con parto cesareo. La mattina dell’intervento entrai in sala operatoria piangendo, ero molto spaventata, pensavo che non avrei sentito il pianto di mio figlio, e quando lo vidi per la prima volta non credevo ai miei occhi, quel batuffolo di kg 2,500 era mio figlio. Simone è stato letteralmente un miracolo, il mio Ginecologo mi disse questo dopo che arrivò l’esame istologico della mia placenta. Passai molti giorni a pensare se fosse tutto vero o solo il frutto della mia fantasia, ancora credevo che qualcuno potesse portarmi via Simone. Dopo qualche mese realizzai che era tutto vero e che la nostra famiglia si era allargata. Ad oggi se mi riguardo indietro non riesco a capire la forza dove siamo riusciti a trovarla, e a volte l’unica spiegazione che riesco a darmi è il fatto che sono rimasta unita con mio marito, e ci sentivamo una Famiglia comunque, anche se eravamo solo io e lui, noi ci compensavamo a vicenda e avevamo costruito con il tempo l’idea che potevamo essere “felici” comunque anche se eravamo solo io e lui. Decidemmo di prendere un’ostacolo alla volta, non pensando troppo a quello che poteva essere e così facendo abbiamo trovato la forza ogni volta di rialzarci.

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